Strade Magazine

La rivista di STRADE – Sindacato Traduttori Editoriali

Intervista a Thomas Harder

(di Bruno Berni)

Bruno Berni intervista Thomas Harder, eclettico traduttore dall’italiano al danese (sono sue le traduzioni dei libri di Umberto Eco) che svolge anche le attività di storico, interprete e scrittore.

Tu sei per metà italiano, tua madre Maria Giacobbe è una scrittrice italiana ormai danese, visto che vive lì da più di cinquant’anni, tuo padre Uffe Harder era un noto poeta e traduttore. L’Italia deve aver significato molto per te da un punto di vista personale. Qual è stato il tuo rapporto con il paese durante la tua vita?

Crescere a contatto con due paesi, due lingue e due modelli familiari molto diversi è stato determinante per tutto ciò che ho fatto. Ho frequentato asilo, scuole e università in Danimarca, ma fin da quando ho cominciato a parlare – e ancora prima – comprendere le differenze fra i due aspetti e provare a trovare il senso che avevano è stata una necessità. Durante la mia infanzia trascorrevamo le ferie con la famiglia di mia madre in Italia – a Milano, a Roma e in Sardegna – e questo mi ha dato un rapporto stretto con la lingua. La famiglia era ed è composta da persone politicamente impegnate, e vivendo insieme a loro ebbi un’idea forte di cosa avessero significato in Italia il fascismo e la guerra, dei valori rappresentati dall’antifascismo nelle sue varie forme. Questo contribuì a determinare la scelta degli studi – italiano e storia – e la carriera come traduttore e interprete, mentre l’interesse per la storia e la cultura in Italia è stato una pietra miliare per la mia attività di storico.
Due libri che per me è stato importante scrivere parlano di danesi che durante l’ultima Guerra Mondiale hanno combattuto in Italia. Paolo il Danese. Den danske partisan (2005) è una biografia di Arndt Paul Lauritzen (1915-1978), che dopo essere stato monaco in Lussemburgo e ufficiale in Danimarca prese i voti a Roma nel 1942 e poi, nel 1944-45, combatté come partigiano antifascista nei monti intorno a Parma, dove una strada ha preso il suo nome. Anders Lassens krig, 9. april 1940-9. april 1945 è invece la storia di Anders Lassen (1920-45), figlio di un proprietario terriero danese, che senza formazione militare diventò maggiore nelle forze speciali britanniche e cadde in combattimento poco fuori Comacchio la notte fra l’8 e il 9 aprile 1945. La storia di Arndt Lauritzen si svolge soprattutto in Italia e mi ha dato occasione per studiare aspetti meno noti della guerra partigiana, mentre partire dalla microstoria di Lassen mi ha reso possibile tracciare un’immagine della guerra nel Mediterraneo orientale, dove l’Italia ebbe un ruolo molto importante ma trascurato.

Quanta parte ha la traduzione editoriale nella tua attività complessiva?

In genere dico che la mia attività ha tre gambe: la traduzione letteraria, l’interpretariato di conferenza e la scrittura. A questo si aggiungono le conferenze su argomenti italiani – dalla mafia alla gastronomia, passando per politica, storia, cultura, ecc. –, sui miei libri, i ‘miei’ autori, la traduzione, l’interpretariato, la politica sulla lingua, il bilinguismo, le differenze culturali fra la Danimarca e l’Italia e ormai molte altre cose. Calcolando il tempo, la traduzione editoriale occupa forse la metà del mio orario di lavoro. Calcolando i guadagni, mi procura fra 1/6 e 1/3  delle mie entrate, a seconda dell’anno. Dico spesso che solo grazie all’interpretariato posso permettermi di occuparmi di libri. Traduco anche molti testi per cataloghi di mostre e simili, dove gli onorari di norma sono migliori che per i libri.

Quale influenza hai sulle scelte editoriali quando traduci? E com’è il mercato della letteratura italiana in Danimarca? Gialli? Classici?

La maggior parte dei libri che traduco – italiani o inglesi – viene tradotta per iniziativa della casa editrice senza che io sia coinvolto nella decisione. In alcuni casi gli editori mi chiedono di leggere un libro e di esprimere un giudizio. Se propongo un libro, talvolta capita che mi venga anche chiesto se voglio tradurlo, ma accade altrettanto spesso che le case editrici siano meno ottimiste di me e scelgano di non pubblicarlo nonostante le mie raccomandazioni.
So che alcuni traduttori sono molto più attivi, quando si tratta di promuovere scrittori stranieri. Di rado ho il tempo, ma una volta convinsi un editore a pubblicare due volumi di una serie di gialli. Erano opere di qualità, ma fu difficile spingere i recensori e i lettori a interessarsene, perciò il resto della serie non è stato pubblicato. Ho appena suggerito un’altra serie di gialli e ho intenzione di fare lo stesso con un romanzo moderno che ho notato durante le vacanze estive. Vedremo cosa ne viene fuori.
Ho l’impressione che fra gli editori ci sia grande interesse per i gialli. Per esempio vengono pubblicati Giorgio Faletti, Gianrico Carofiglio, Andrea Camilleri e un paio di altri, mentre per i classici il mercato è debole. La Gyldendal ristampa continuamente Il gattopardo, ma altrimenti i classici italiani sono scarsi. Però questo non vale solo per gli italiani.

Hai rapporti con gli autori italiani viventi che hai tradotto? È possibile, utile avere contatti con loro?

Quando tradussi Il pendolo di Foucault scambiai un fax con Umberto Eco per una domanda in cui gli chiedevo di chiarire un dubbio. Rispose con rapidità, gentilezza e pertinenza. Altrimenti non ricordo di aver avuto contatti con scrittori italiani in occasione delle mie traduzioni – tranne naturalmente con Maria Giacobbe, mia madre, con cui sono in dialogo quasi quotidiano quando traduco i suoi testi. È un grande aiuto poterle fare domande su dubbi concreti e scelte stilistiche, perché naturalmente sa il danese. Ho tradotto tre romanzi di Lawrence Norfolk e presto inizierò il quarto. Sono opere molto complesse e abbiamo avuto vari contatti, mi aspetto che sarà così anche col quarto, e la collaborazione è diventata una vera e propria amicizia. Altrimenti non ho molto contatto con gli scrittori e in genere non mi manca: nella maggior parte dei casi i problemi si possono risolvere senza disturbarli. Alcuni – per esempio Umberto Eco, che lo fa in maniera coerente e approfondita – scrivono delle istruzioni per i traduttori facendo notare citazioni, giochi di parole, allusioni ad avvenimenti storici, ecc. Questo è sempre molto utile.

Come sono le condizioni economiche dei traduttori in Danimarca? Sei a conoscenza delle differenze nei due paesi?

Come ho già detto, solo grazie all’interpretariato posso permettermi di occuparmi di libri. Potrei anche dire che se lavorassi solo come traduttore letterario non credo che avrei un reddito commisurabile a quello di altre persone con una formazione accademica e con la mia anzianità nel mercato del lavoro. Nel 1996 o nel 1997, quando ero presidente del Consiglio per la letteratura, svolgemmo un’indagine sulle condizioni dei traduttori. Risultò che il traduttore tipo era un uomo di 50-55 anni con un’attività principale diversa dalla traduzione, entrato in quel mondo grazie alla sua attività principale – in genere l’insegnamento o simili. Non credo che il profilo sia cambiato molto, anche se ora ci sono molti bravi colleghi più giovani.
Fino a poco tempo fa la maggior parte degli editori era d’accordo con il l’associazione dei traduttori sull’uso di un contratto standard che oltre all’onorario – in genere 1.800-2.400 corone per 32.000 battute [242-322 Euro, ovvero 15-20 Euro per 2.000 battute] – concedeva un ulteriore somma quando il lavoro veniva usato per edizioni economiche, club del libro o in altro modo. In genere era il 50% dell’onorario originario con edizioni di 5.000 copie o più e il 25% per edizioni più limitate. Negli ultimi anni le case editrici hanno cercato di evitarlo a vantaggio di un onorario una tantum che lascia a loro tutti i diritti. Questo ha creato molta insoddisfazione, soprattutto perché gli editori più che trattare hanno cercato di imporre le condizioni. Non che l’onorario una tantum sia necessariamente inaccettabile, ma deve essere più alto di quello tradizionale, affinché il traduttore ottenga una compensazione per i diritti secondari che cede.
Quando bisognava tradurre Il cimitero di Praga di Umberto Eco, la casa editrice non voleva pagare quanto chiedevo per i diritti secondari. Finì che fu affidato a un altro traduttore. Oltre a questo c’è il problema degli e-book e degli altri nuovi media, è ancora molto incerto come funzionerà.
Quando si parla delle condizioni dei traduttori in Danimarca bisogna anche dire che hanno diritto a una parte della cifra – credo che ora siano circa 160 milioni di corone [21,5 milioni di Euro] – che lo stato danese paga ogni anno in diritti di biblioteca per supportare la lingua e la letteratura danese. La distribuzione dei fondi dipende da quanti libri – da quante pagine – uno scrittore o traduttore ha sugli scaffali delle biblioteche danesi, poi ci sono coefficienti di calcolo che vanno a beneficio degli scrittori rispetto ai traduttori e compensano i poeti, le cui opere occupano meno spazio, ecc. Per una persona con una solida produzione alle spalle, i diritti di biblioteca posso rappresentare una parte importante del reddito annuale.

Puoi dirci due parole sull’iniziativa del “Cardo del traduttore”?

Il “Cardo del traduttore” era in origine una cartolina con un disegno molto elegante di un cardo, che i membri potevano richiedere all’associazione traduttori e spedire ai recensori che avevano omesso il nome del traduttore. Credo che per alcuni anni sia stato dimenticato, ma ora è stato rilanciato in forma digitale grazie al blog Oversætteren [Il traduttore], gestito da Sara Kock, traduttrice molto attiva sia dal punto di vista professionale sia da quello politico. È un tentativo per portare l’attenzione sul fatto che se i lettori danesi possono leggere per esempio Shakespeare, Paperino, Cervantes, è perché qualcuno si è preso il disturbo di tradurli. Si tratta di dare ai traduttori un riconoscimento dovuto, ma anche di ‘educare’ i lettori e i recensori a rapportarsi criticamente nei confronti delle traduzioni che escono sul mercato.

Tu sei anche storico, oltre che guide su Roma, libri di cucina, hai scritto libri sulla storia d’Italia, sulla politica. Quali sono i tuoi canali di informazione sull’Italia, quale consideri un canale di informazione imparziale o comunque più utile?

Non credo sia necessario essere storico e aver studiato critica delle fonti per rendersi conto che non ci sono molti canali di informazione oggettivi, imparziali: questo vale per tutti i paesi, ma nel caso dell’Italia è particolarmente pressante la sensazione che i media e le persone servano un interesse politico o economico. Provo a tenermi aggiornato leggendo le edizioni in rete dei grandi quotidiani e settimanali, il più possibile, per poter confrontare le informazioni e i punti di vista. Poi ci sono tutte le newsletter e le pagine Facebook, i siti, ecc., prodotti da diverse organizzazioni, dalla chiesa cattolica alle organizzazioni volontarie. A questo aggiungo per quanto possibile articoli e reportage nei media stranieri. Spesso vedono le cose un po’ a distanza e colgono il nocciolo, cosa che rende più facile orientarsi nell’oceano di dettagli dei media italiani.

Per informazioni sull’autore, si veda il suo sito:

http://www.thomasharder.dk/it/

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Questa voce è stata pubblicata il 4 ottobre 2012 da in L'intervista, Numero 2.

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