Strade Magazine

La rivista di STRADE – Sindacato Traduttori Editoriali

Un ritratto di William Weaver attraverso gli occhi di Susan Bernofsky

(a cura di Cristina Vezzaro) 

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Susan Bernofsky è la traduttrice americana di Robert Walser, Jenny Erpenbeck, Yoko Tawada, Gregor von Rezzori, Uljana Wolf. A gennaio è appena uscita la sua ritraduzione de La Metamorfosi di Franz Kafka (con l’introduzione di David Cronenberg). Nel 2006 ha ricevuto il premio di traduzione Helen and Kurt Wolff e nel 2012 le è stato conferito il Calw Hermann Hesse Translation Prize. Ha inoltre beneficiato di premi e borse di studio dell’American Council of Learned Societies, di PEN Translation Fund, NEA, NEH, del Leon Levy Center for Biography e della Lannan Foundation. Insegna alla Columbia University School of the Arts, dove è responsabile del programma di traduzione letteraria. È di pochi giorni fa la notizia che Susan Bernofsky è tra i vincitori della Guggenheim Fellowship 2014.

 

Susan, nel tuo blog, Translationista, ricordi William Weaver come tuo maestro, ma anche tuo mentore e amico. Qual è la prima immagine o il primo aneddoto che ti vengono in mente quando pensi a lui?

Me lo immagino ancora al Bard College, seduto sul portico di casa sua, chiamata anche “Mary McCarthy house” perché per un periodo ci aveva vissuto proprio Mary McCarthy, che era sua amica. Gli piaceva starsene seduto lì quando il pomeriggio lasciava il posto alla sera, guardare il tramonto tra gli alberi all’orizzonte. Abitava sulla strada principale che attraversava il campus, e succedeva spesso che uno studente o un collega diretti a casa si fermassero a fare due chiacchiere.

 

Naturalmente Weaver ha svolto un ruolo chiave per la diffusione della letteratura italiana nel mondo anglofono. In un’intervista ha detto che ha iniziato a tradurre prima ancora di conoscere bene l’italiano, che lo faceva per sé, senza nemmeno avere in mente di diventare traduttore. Eppure per fare questo mestiere ci vuole passione. Secondo te, da dove proveniva la sua? E come la trasmetteva ai suoi studenti?

Bill amava le storie, i racconti. E chi i racconti li narrava. Non c’è da stupirsi che abbia voluto condividere con i suoi amici anglofoni le storie incredibili che sentiva in Italia e leggeva in italiano. Ai suoi studenti, invece, insegnava dando l’esempio. Ho imparato tantissimo vedendo come rileggeva un testo tradotto da me o da qualche altro studente. Ci ha insegnato che la revisione è una forma attenta di lettura, che è una (se non la) parte essenziale del lavoro di traduzione. Tuttora propongo ai miei studenti il suo articolo sulla revisione e la revisione della revisione di un passaggio di Gadda: http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/babelgadda/babeng/weavertranslation.php.

 

All’epoca in cui Weaver iniziò a tradurre non c’era Internet né c’erano i computer. Non c’era nemmeno un italiano vero e proprio, poiché l’Italia era ancora uno stato piuttosto recente e solo la televisione avrebbe davvero compiuto opera di unificazione linguistica. Ti ha mai raccontato qualche aneddoto dei cambiamenti cui assistette nella sua lunga carriera?

Non ne abbiamo mai parlato, ma so che a un certo punto ha iniziato a scrivere le sue traduzioni al computer. Come molti dei traduttori cresciuti all’epoca in cui non c’erano strumenti informatici (e io faccio parte dell’ultima generazione), le sue revisioni erano però tutte su carta stampata, con matita e gomma, e aveva sempre accanto fantastici dizionari cartacei e un Roget’s International Thesaurus, lo stesso che chiedo tuttora ai miei studenti di acquistare: rimane ineguagliato, non c’è risorsa online che lo possa sostituire.

 

I traduttori sembrano godere di un prestigio maggiore nel mondo anglofono, dove sono considerati co-autori, con tutti i relativi vantaggi, tra cui i diritti d’autore. In un’intervista, Weaver raccontò che l’enorme successo de Il nome della rosa di Umberto Eco gli aveva permesso di aggiungere una stanza alla sua casa in Toscana. La situazione è tuttora privilegiata negli Stati Uniti? A tuo parere che cosa dovrebbero fare i traduttori nei paesi in cui il loro lavoro non è retribuito come proprietà intellettuale?

Non so cosa ti abbia fatto pensare che i traduttori, negli Stati Uniti, godano di tanto rispetto. A tutt’oggi non si tratta che di pochissime persone. Molte case editrici importanti sono riluttanti a concedere ai traduttori il copyright sul loro lavoro o a riconoscere loro delle royalties. William Weaver percepiva effettivamente i diritti sulle sue traduzioni, ma sono ancora pochi i colleghi che hanno raggiunto una levatura simile. Negli Stati Uniti – come in altri paesi – i traduttori devono ancora lottare per vedere riconosciuto il loro lavoro e il loro contributo alla letteratura.

 

Qual è l’eredità più significativa di William Weaver?

I libri che ci ha lasciato: tutti gli splendidi romanzi di Calvino e Svevo e Gadda e Bassani ed Eco e altri ancora. Weaver ha regalato al pubblico anglofono l’accesso a tanta parte della letteratura italiana, e il suo stile saldo e deciso ha fatto sì che tutte le sue traduzioni vivessero, con forza, di vita loro, facendo entrare quei libri nel discorso letterario del mondo anglofono. C’è davvero molto di cui essergli grati.

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Questa voce è stata pubblicata il 29 aprile 2014 da in L'intervista.

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