Ovvero: una traduttrice, la risonanza magnetica e il Max-Planck Institut.
(di Cristina Vezzaro)
“Non le iniettiamo liquido di contrasto né sarà esposta a radiazioni. Sinora non ci sono stati effetti collaterali”. Chissà perché, colta dall’entusiasmo, non avevo tenuto conto dei possibili effetti collaterali. È il 13 febbraio e sono al Max-Planck-Institut di Berlino dopo aver risposto a un appello alquanto insolito: un gruppo di ricercatori cercava infatti professionisti che parlassero tedesco e fossero disposti a fare da cavia. Oggetto di studio: il funzionamento del cervello di traduttori e interpreti.
La parte del liquido di contrasto e delle radiazioni mi sembra cosa da niente quando mi mostrano gli esercizi che dovrò fare per un’ora all’interno del tubo della risonanza magnetica. Purtroppo è vietato introdurre qualsiasi cosa nella sala, e non posso farmi fotografare: un vero peccato, considerato che alle orecchie ho le cuffie da elicotterista, dei salsicciotti in polistirolo mi bloccano la testa (“si metta comoda, deve cercare di restare immobile per più di un’ora”) e in mano tengo due telecomandi: quello di destra mi servirà per rispondere agli esercizi audio, quello di sinistra agli esercizi video. Insomma, nel complesso dev’essere davvero un bello spettacolo.
Quando inizio a scivolare dentro lo stretto tubo della risonanza magnetica capisco cosa devono provare le persone che soffrono di claustrofobia. So già che non riuscirò a starci per un’ora intera.
Stranamente, però, mi rilasso, e dopo una parte iniziale in cui devo stare immobile a occhi chiusi (e questo è facile), iniziano gli esercizi, e con quelli il tempo si mette a scorrere più veloce. In sostanza devo cercare di reagire il più in fretta possibile a stimoli audiovisivi riconoscendo quelli che si ripetono, in sequenze che richiedono sforzi diversi. Quello più difficile è quello che prevede contemporaneamente lettere e immagini (che vedo proiettate su uno schermo sul retro dell’apparecchio mediante uno specchietto) da riconoscere in sequenza 3-Back, ovvero riconoscere, mano a mano che le leggono o le proiettano, se tre volte prima erano le stesse. Più facile a dirsi che a farsi. In un crescendo di esercizi a cui si alternano momenti di riposo, l’ora passa più in fretta di quello che credevo, e quando esco mi pare di essermela cavata con poco.
Il bello, in realtà, deve ancora iniziare. Mi attendono altre tre ore di intense esercitazioni a computer in cui mi si chiederà di essere ultraconcentrata e iperreattiva. Se questo è un condensato della nostra attività, io ve lo dico: ci stiamo bevendo il cervello.
In buona sostanza rincorro voci di donna e uomo che devo segnalare su un tasto o l’altro della tastiera del computer ma solo se dicono quello che mi viene chiesto dall’esercizio in corso e solo nel modo in cui mi viene chiesto: ad esempio uomo = tasto destro; donna = tasto sinistro; in cuffia si invertono però magari le posizioni (voce di uomo dalla cuffia sinistra e voce di donna dalla cuffia destra) e in più l’uomo e la donna in questione dicono a caso rechts o links. E dopo la triplice traduzione devo capire (RAPIDAMENTE) che tasto selezionare. Questo per una decina di minuti.
Oppure mi cucco un trattato di storia della musica dal Medioevo a oggi nella cuffia di destra e un saggio su Emil Nolde nella cuffia di sinistra e devo ripetere ad alta voce quello che sento nella cuffia di destra, che inizialmente è il trattato di musica ma a un certo punto (sorpresa!) diventa il testo di Emil Nolde. Dieci minuti di testo letto a velocità sostenuta.
O ancora devo decifrare rapidamente una specie di codice inserendo in un minuto quanti più simboli sotto la sequenza prestabilita di numeri (e in successione, non tutti gli 1, tutti i 2, tutti i 3 insieme, come ho provato a suggerire). Modestamente, pare il mio risultato sia tra i migliori. Non a caso sono traduttrice e non interpreto, faccio presente.
I traduttori sottopostosi agli esperimenti, scopro, sono una cinquantina, tra tedeschi e stranieri con il tedesco come lingua di lavoro. Sono probabilmente l’ultima “cavia”, lo studio volge al termine e presto il dipartimento di psicologia si occuperà di analizzare i risultati. Se mi interessa sapere quali saranno? Certo che sì, dico alla gentile signorina che a un certo punto mi porta un caffè e dei biscottini per tirarmi su. Eventualmente sarei disposta a partecipare ad altri test? Ecco, questo, a dire il vero, non lo so…