Strade Magazine

La rivista di STRADE – Sindacato Traduttori Editoriali

Il traduttore non è solo (specie quando sbaglia)

(di Barbara Ronca)

Due articoli comparsi di recente sul blog dell’Indice del mese ci danno l’opportunità di riflettere sul fenomeno delle cattive traduzioni, e su come le responsabilità di queste vadano ripartite lungo tutta la catena editoriale. Se è vero che il traduttore non è il solo ad avere il merito della pubblicazione di un’opera, non è nemmeno l’unico colpevole di una traduzione mal fatta.

In due post pubblicati a poche settimane di distanza sul blog dell’Indice del mese (Le quarte di copertina e i loro rischi, del 29 febbraio 2012 e Tutto, anche niente, è meglio di una pessima traduzione, del 13 aprile) l’economista, scrittore e ricercatore Mario Cedrini analizza con attenzione e spirito critico le edizioni italiane di due saggi (La globalizzazione intelligente, di Dani Rodrik, Laterza, 2011 e Antropologia economica. Storia, etnografia, critica, di Chris Hann e Keith Hart, Einaudi, 2012) nonché la quarta di copertina di un terzo volume (Economia dell’identità. Come le nostre identità determinano lavoro, salari e benessere, di George Akerlof, Laterza, 2012). In tutti i casi l’attenzione dell’autore si concentra, con un’analisi spietata ma necessaria, sugli errori di traduzione presenti nei testi citati: Cedrini individua un tale numero di sviste, innovazioni terminologiche, imprecisioni, errori strutturali da dover concludere che a volte il risultato finale ‘non ha nulla a che vedere né con l’originale né con l’italiano’. La riflessione su chi sia il ‘colpevole’ è amara, ma obbligata: perché una traduzione approssimativa, quando non decisamente scorretta, rischia non solo di lasciar fraintendere le intenzioni del testo originale, ma soprattutto di ‘anestetizzare’ il lettore meno agguerrito spingendolo verso l’abitudine di una lettura frettolosa e poco attenta.

La scelta di non citare nell’articolo il nome dei traduttori incriminati è consapevole e voluta, perché non solo a loro sarebbe da attribuire la responsabilità del fallimento. Anzi Cedrini, supportato da molti traduttori editoriali che intrecciano con lui un’interessante discussione nei commenti agli articoli, decide di cercare le altre figure professionali che possono aver contribuito a una pubblicazione inutile se non addirittura dannosa. E le trova: ci sono le redazioni che affidano il lavoro ai traduttori senza verificarne preventivamente la capacità, magari per risparmiare; i revisori, spesso non sufficientemente competenti, che si lasciano sfuggire sviste macroscopiche; le case editrici che costringono il traduttore a lavorare in tempi strettissimi e condizioni economiche proibitive; l’ufficio marketing che conta ormai più della redazione nella stesura di un piano editoriale che dovrebbe essere coerente, curato, studiato, e diventa solo la rincorsa all’ultimo best seller o instant book.

L’origine del problema sarebbe dunque, in ultima analisi, una faccenda di costi: pubblicare libri è un’operazione in perdita, e si tende a risparmiare su tutto: quindi il lavoro dei traduttori, come (spesso) quello dei revisori, dei redattori, dei correttori di bozze, è precario, mal retribuito e scarsamente riconosciuto. Eppure tutte queste professionalità richiedono (tanto per essere apprese che per venire esercitate) tempo, preparazione e impegno, cose che andrebbero adeguatamente ricompensate.

Una visione meno miope, che punti sul successo nel lungo periodo, dovrebbe comprendere questa realtà: perché un mercato editoriale che si avvalga di buoni professionisti e in cui ci sia tempo e modo di creare una collaborazione virtuosa tra tutti, è un mercato in cui il libro non rischia di annegare nell’oblio a cui sono destinati i prodotti di scarsa qualità.

Sono i traduttori stessi (traduttori che spesso ricoprono anche gli altri ruoli citati, a dimostrare quanto queste professionalità debbano l’una all’altra e quanto nessuno sia esente da colpe e meriti) a suggerire alcune modalità attraverso le quali migliorare la situazione: dall’assumersi la responsabilità di rifiutare un lavoro che non si è in grado di svolgere all’offrirsi per una prova di traduzione a ogni nuovo incarico o committente; dal pretendere retribuzioni eque e revisioni capillari a creare una rete di collaboratori attenti e preparati, anche e soprattutto all’interno delle redazioni delle case editrici.

E che la soluzione venga proprio da loro non stupisce: il fatto che il lavoro del traduttore sia tanto bistrattato è dovuto forse a scarsa visibilità; di traduzioni si parla poco e poco si recensisce, e scarsa visibilità significa sempre scarso controllo. È invece proprio un controllo puntuale (sul lavoro della loro categoria e di quelle complementari) che i traduttori richiedono: perché sanno che poter condividere responsabilità e soddisfazioni con altri professionisti significa rinunciare al mito romantico che li vuole isolati dal mondo alle prese col loro libro, e sentirsi parte di un mercato editoriale sano dove essere finalmente ascoltati e forse anche presi sul serio.

A riprova di quanto detto, la notizia che, a poco più di un mese dall’uscita del primo articolo di Cedrini, l’editore Giuseppe Laterza non solo ha deciso di ritirare dal commercio il libro incriminato, ma di disporne una nuova traduzione, che dovrebbe uscire nel prossimo autunno. Si è offerto inoltre di inviare, ai lettori che ne facessero richiesta, una nuova copia del volume, in sostituzione di quella “difettosa”.

Le “buone pratiche” dell’edizione hanno dunque bisogno che le figure implicate nel processo (e i traduttori in primo luogo!) prendano la parola. Com’è accaduto nel caso citato, dove per primi Sara Crimi, Chiara Marmugi e Daniele Petruccioli hanno sottolineato l’importanza di una stretta collaborazione fra traduttore e revisore e la necessità che l’editore compia una scelta di qualità, basandosi non solo sul criterio della migliore offerta, ma su quello della verifica delle competenze.

Interventi come questi (seguiti, speriamo, da analoghi risultati), oltre a far uscire dall’anonimato il nostro lavoro, potranno forse far sì che si sviluppi, nel nostro Paese, una critica delle traduzioni attenta e costruttiva.


4 commenti su “Il traduttore non è solo (specie quando sbaglia)

  1. AdeL
    9 giugno 2012

    se ne parla anche su Internazionale, da cui è rimbalzato di nuovo sul blog dell’Indice:
    http://lindiceonline.blogspot.it/2012/06/laffaire-rodrik-su-internazionale.html

  2. Pingback: rivista strade magazine (sindicato traduttori editoriali), n. 1, 2012 « traduzirfantasmas

  3. Francesca Capelli
    14 luglio 2012

    Aiuterebbe molto un clima lavorativo non di terrore. Io traduco romanzi per ragazzi e difficilmente cadrò nell’errore di tradurre General Director con “direttore generale”, quindi eventuali errori saltano meno all’occhio. Se però ho un dubbio su una parola, sul senso profondo di una frase lo segnalo, perché il revisore si fissi su di essa con maggiore attenzione. Certo che se ti fanno vivere nel terrore di sbagliare, l’ammissione di un limite non è contemplata

  4. Alessia
    13 agosto 2012

    Purtroppo la mia esperienza è di quelle citate nell\’articolo. Traduco narrativa dall’inglese e di rapporto stretto col revisore non c’è traccia. Quando ho capito che non avrei mai avuto contatti con il mio revisore (esisterà? mi rsorge il dubbio) ho richiesto almeno di poter ricevere il file con le correzioni da lui/lei apportate per avere comunque un feedback sul mio lavoro. Lavorando su un testo per tre mesi, tutto il giorno è ovvio che alla fine qualcosa possa sfuggire! Purtroppo non ho mai ricevuto nemmeno il file richiesto. Ho contatti con la casa editrice solo quando devono chiedermi di consegnare in anticipo rispetto alle date stabilite, perché poi si permettono anche di dimenticarsi di pagarmi. Perché continuo a fare questo mestiere? Perché è la mia passione e cerco di dare il massimo. Certo, avere un riscontro su quello che scrivo mi sarebbe immensamente utile per crescere professionalmente parlando, ma in Italia non c’è spazio per questo. Qui si pensa solo al fatturato e alla quantità di libri che si pubblicano al mese. Pensate che al ritmo con cui si pubblicano libri si presti davvero attenzione a pubblicare libri di qualità? Avete letto delle cause che tanti traduttori hanno fatto a una nota e giovane casa editrice romana, perché non vengono pagati? In questo Paese si fa un gran parlare di qualità, formazione, responsabilità…per me son diventate parole vuote, dal momento che troppo spesso chi mi assume le pretende da me (giustamente) ma non mi ripaga con la stessa moneta. Il 90% dei libri che vengono pubblicati in Italia sono tradotti. Non c\’è bisogno di sottolineare oltre l\’importanza del nostro lavoro. Secondo me è arrivato il momento di dire basta a questa situazione.

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Questa voce è stata pubblicata il 3 giugno 2012 da in Gomma e matita, Numero 1.

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